Educare un bambino significa anche lasciarlo sbagliare affinché dall’esperienza e dai nostri successivi suggerimenti impari a cavarsela da solo.

E quindi la teoria parrebbe molto semplice, in fondo lo sanno tutti che “sbagliando si impara”.

Eppure osservando le persone intorno a noi possiamo vedere come alcune di esse ricadano sempre negli stessi errori e non mettano in atto alcun meccanismo di apprendimento.

È quindi così vero che sbagliando si impara?

La mia risposta è no. Sbagliando si impara solo se c’è, innanzitutto consapevolezza dell’errore e in secondo luogo dei bisogni latenti che ci portano a reiterare quel comportamento che chiamiamo errore.

Seguo diversi pazienti che arrivati ad un certo punto della loro esistenza, capiscono che ricadono sempre nel medesimo circolo vizioso, mettendo in atto sempre gli stessi comportamenti, che ad un certo punto non risultano più essere funzionali al loro benessere.

Ecco quindi che viene compiuto il primo passo, ovvero la comprensione che un meccanismo disfunzionale che potremmo teoricamente governare, in realtà si reitera quasi per abitudine, senza che vi esercitiamo un controllo consapevole.

Una volta che diventiamo consapevoli quindi possiamo facilmente smettere di commettere errori?

Giusto? Purtroppo no.

La sola consapevolezza non è sufficiente per un cambiamento significativo e quindi potrebbe non bastare per imparare dai propri errori e conseguentemente modificare il proprio comportamento.

Ecco quindi che arrivare a cogliere il perché è un lavoro ulteriore e necessario, che spesso richiede il sostegno di uno psicologo, affinché venga facilitato il processo di chiarificazione rispetto ai bisogni e ai valori che guidano le nostre azioni, con cui spesso, sebbene ci appartengano e ci guidino, noi stessi non siamo in contatto.

Ma cosa accade quando a sbagliare è un’atleta in una gara importante?

Cosa serve affinché quell’errore si trasformi in maggiore consapevolezza e possa poi portare ad una migliore prestazione alla successiva occasione?

Quando si parla di errore nello sport viene spesso citata la seguente dichiarazione di Michael Jordan: “Nella mia carriera ho sbagliato 9.000 tiri ed è così che sono diventato Michael Jordan”.

A vostro avviso basta quindi sbagliare 9.000 tiri per diventare Jordan? O c’è dell’altro?

Innanzitutto tutto la possibilità di imparare dai nostri errori e conseguentemente di migliorarsi, dipende dal significato che diamo all’errore stesso.

Commettere un errore e dirsi frasi del tipo “non valgo niente” rischia di paralizzarci nella condizione di fallimento. In caso di errore pensieri come “Questa volta è andata così, ma io posso sicuramente fare meglio” sono di gran lunga più proficui per mantenere una buona autostima e permettere una prestazione futura migliore.

Un altro punto fondamentale è relativo all’assunzione della responsabilità.

Quando commettiamo un errore, tendiamo a cercarne la spiegazione negli altri o in situazioni esterne. In questo caso, è importante fermarsi, riflettere e assumerci le nostre responsabilità.

Affrontare le conseguenze dei nostri errori e assumercene la responsabilità non è solo segno di maturità, ma un passo necessario per migliorarsi.

Infine è opportuno sottolineare che gli errori, senza un lavoro su di sé e senza una reale dedizione verso i propri obiettivi, continuano a rimanere errori.

Se riuscite ad imparare dai vostri errori, se non vi arrendete, se vi riferite a voi stessi in modo positivo, quando commetterete un errore, sorriderete.

Il fallimento sarà una semplice caduta momentanea, che non fermerà il vostro volo.

“Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.”

Michael Jordan