La gestione dell’infortunio nell’atleta di alto livello

La gestione dell’infortunio nell’atleta di alto livello

L’ infortunio sportivo viene definito dal punto di vista psicologico come un evento multifattoriale, di tipo bio-psico-sociale e coinvolge principalmente quattro aree tra loro interconnesse: benessere fisico, benessere emozionale, benessere sociale, e l’area del Sè

| Podlog, 2014 |

L’ infortunio sportivo costituisce un momento critico nella vita di un atleta ed è per questo motivo che è necessario individuare eventuali segnali di rischio sui quali l’ allenatore, lo psicologo dello sport e l’ atleta stesso possano intervenire al fine di lavorare e collaborare tra loro in maniera efficace.

Negli ultimi vent’ anni le ricerche sul tema dell’ infortunio nello sport sono aumentate notevolmente. Possiamo individuare due macro aree di interesse: da un lato ci sono le ricerche che si focalizzano sulle variabili psicologiche che agiscono sulla vulnerabilità dell’ individuo aumentando la probabilità che possa avvenire l’ infortunio, dall’ altra parte ci sono gli studi che indagano le reazioni emotive e cognitive, fondamentali soprattutto per il recupero dell’ atleta dopo l’ avvenimento dell’ infortunio.

In entrambe le correnti di indagine lo scopo delle ricerche è quello di ridurre l’ incidenza di questi eventi, favorendo un’ adeguata preparazione psicologica e agevolando un recupero ottimale nel momento successivo all’ infortunio.

I FATTORI ALLA BASE DELL’INFORTUNIO: UN APPROCCIO OLISTICO

È necessario occuparsi di questo tema con un approccio olistico, ponendo cioè l’ attenzione sulle funzioni fisiche, emotive e cognitive.

Numerosi studi scientifici in questo ambito di ricerca evidenziano che, nonostante l’ infortunio sportivo sia un fatto imprevedibile, tra le cause in cui ricercare e che renderebbero l’ atleta maggiormente esposto a possibili incidenti sono sicuramente la sua natura fisica, ovvero la struttura corpore ed eventuali lesioni avvenute precedentemente.

I fattori psicologici legati alle caratteristiche di personalità dell’atleta sembrano essere correlati alla probabilità di infortunio, in particolare è stato evidenziato che persone con sentimenti di depressione, malessere e apatia, riportavano infortuni più di frequente (Kolt & Kirkby, 1999).

Oltre a questo anche i fattori psicosociali quali l’età, l’ influenza degli eventi di vita, dell’allenatore e dei genitori , costituirebbero variabili fondamentali quando si prendono in considerazione le possibili cause di un infortunio. Secondo l’ autore Petrie ( 2004) , bassi livelli di supporto sociale aumenterebbero la vulnerabilità individuale al rischio di infortunio, mentre un alto supporto sociale sembrerebbe apportare una maggiore protezione.

Infine anche fattori esterni come la tipologia di attrezzatura utilizzata, le caratteristiche dell’ allenamento e gli eventuali rischi che comporta lo sport praticato, rivestirebbero un ruolo importante da non trascurare quando viene indagata la tematica dell’ infortunio.

Esistono in letteratura diversi modelli che focalizzano l’ attenzione sulle variabili psicologiche nella vulnerabilità a questo evento .

Il modello più accreditato è quello di Andersen e Williams (1998) chiamato dai due autori “Modello stress-infortunio”. Secondo tale teoria un atleta che vive una condizione di stress avrà una risposta attentiva alterata a causa di tale evento, manifestando conseguentemente un aumento della tensione muscolare, una riduzione del campo visivo e dunque un livello di distrazione più elevato.

LO PSICOLOGO DELLO SPORT NELLA PREVENZIONE DELL’INFORTUNIO

Nonostante sia ancora necessario un approfondimento di questa tematica,  un elemento fondamentale che sembra emergere da queste ricerche riguarda lo stile di coping adottato dagli atleti, ovvero le diverse strategie implementate per far fronte all’ evento stressante. Strategie di resilienza volte a riconoscere la relazione tra tratti di personalità, eventi di vita negativi, pensieri, emozioni e stati fisiologici, finalizzati a minimizzare l’impatto degli stressor, rappresenterebbero un potente strumento per gli atleti.

A questo scopo quindi è di fondamentale rilevanza la predisposizione di interventi psicoeducativi, tecniche di stress-management e goal setting.

Lo psicologo dello sport costituisce quindi in fase di prevenzione una figura di riferimento per lo sviluppo di strategie di resilienza aventi l’ obiettivo di minimizzare l’ impatto dello stress dovuto ad un eventuale infortunio; l’ individuo sarebbe coì aiutato nel riconoscimento della relazione tra tratti di personalità, eventi di vita negativi, pensieri, emozioni e stati fisiologici, che com abbiamo visto precedentemente sono funzionali alla minimizzazione dell’impatto degli stressor.

Per quanto riguarda gli sport di squadra alcuni studiosi hanno sottolineato come un clima di alta competitività e di bassa collaborazione all’ interno del team siano correlati ad un maggiore rischio di infortunio sportivo. L’ intervento di prevenzione adoperato dallo psicologo sportivo non solo sul singolo atleta ma sull’ intero contesto di squadra risulta quindi essere di fondamentale importanza.

LE FASI PSICOLOGICHE DELL’INFORTUNIO

A livello psicologico l’ infortunio porta l’ atleta a vivere un senso di perdita della propria efficienza, una sfiducia verso se stesso , oltre che sperimentare un forte timore di non poter recuperare appieno le proprie capacitàe di non poter tornare ad allenarsi e gareggiare come prima.

Nei casi più gravi l’ atleta potrebbe anche provare un forte senso di solitudine e di vuoto esistenziale.

Esistono diverse modalità di risposta psicologica da parte dell’ atleta soggetto ad un infortunio. Esso infatti può essere considerato dall’ atleta come un periodo di pausa, ma potrebbe anche portare ad un eventuale isolamento sociale e ad alti livelli di frustrazione accompagnati da incertezza e paura di non poter recuperare appieno i livelli di performance precedenti o subire altri infortuni.

A livello temporale è possibile individuare tre distinte fasi che caratterizzano l’ infortunio:

  1. Fase acuta post infortunio. Le emozioni provate dall’ atleta sono molto intense. Nella grande maggioranza delle volte l’ individuo vive un processo emozionale caratterizzato da rabbia, paura, tristezza e sfiducia nel futuro. Altre volte invece gli atleti guardano all’ infortunio in maniera positiva. Tale evento costituirebbe uno stimolo grazie al quale l’ atleta può ripartire e continuare a crescere nel suo percorso . Altri ancora considerano l’infortunio come momento di recupero dall’attività agonistica.

  1. Fase di riabilitazione. È con l’ inizio della riabilitazione che quelle emozioni negative sperimentate nella fase precedente dall’ atleta si riducono. In questa nuova fase l’ aderenza al programma riabilitativo è di fondamentale importanza, poiché maggiore sarà l’ aderenza, maggiore sarà la possibilità di tornare alla condizione prima dell’ infortunio.

 

  1. La fase di ritorno allo sport. Molto spesso purtroppo la prontezza fisica e quella psicologica non sempre coincidono. Alcuni atleti ( si stima tra il 30% e il 60 %), nonostante sia avvenuto un buon recupero sul piano fisico , non sono in grado di recuperare completamente gli stessi livelli di performance precedenti all’ infortunio. Fattori psicologici influenzerebbero particolarmente l’ atleta e la sua capacità di gestire l’ infortunio, la riabilitazione e il ritorno alla propria pratica sportiva.

LO PSICOLOGO DELLO SPORT NEL SUPPORTO ALL’ATLETA NELLA GESTIONE DELL’INFORTUNIO

Lo psicologo dello sport svolge una funzione specifica per l’atleta infortunato ed attraverso il confronto periodico con lo staff, è in grado di aiutare l’atleta nel proprio percorso di guarigione.

È soprattutto durante la fase acuta post infortunio che lo psicologo riveste un ruolo chiave in quanto ha la funzione di effettuare interventi psico-educativi , permettendo in questo modo all’ atleta di avere un maggiore controllo dell’ evento e riducendo quel forte senso di sfiducia in se stesso. Una delle strategie che lo psicologo può disporre è il goal setting, una procedura tramite la quale vengono stilati degli obiettivi con la collaborazione dello staff medico e dell’atleta; si tratterebbe di obiettivi sia fisici che psicologici a breve e lungo termine volti a consentire all’ atleta un percorso di crescita e di maggiore percezione di controllo sull’ infortunio.

Tecniche di ristrutturazione cognitiva e self talk sono invece impiegate dallo psicologo dello sport durante la fase acuta dell’infortunio e durante la riabilitazione permettendo all’ atleta un buon controllo e un’analisi efficiente dei pensieri negativi, i quali verrebbero sostituiti con pensieri realistici e positivi che contribuirebbero a generare emozioni positive nell’ atleta.

Durante la fase di riabilitazione le tecniche immaginative si rivelerebbero essenziali dal momento che permettono di impiegare la visualizzazione come strumento per accelerare il recupero e mantenere attive le specifiche abilità sportive. Diverse ricerche hanno dimostrato come l’immaginazione del gesto tecnico accompagnato alle sue specifiche reazioni sia in grado di attivare le stesse reti neurali del gesto tecnico reale.

Infine, durante tutto il periodo dell’infortunio, lo psicologo impiegherebbe tecniche di rilassamento e gestione dello stress, come ad esempio il training autogeno e il rilassamento progressivo, le quali consentirebbero di abbassare le tensioni interne permettendo di conseguenza un recupero rapido ed efficace.

In foto @m.confortola Atleta di Sci Alpino

A TU PER TU CON NICOLO’ VILLA

A TU PER TU CON NICOLO’ VILLA

Ciao Nicolò,

ci racconti un po’ chi sei e quali sono i risultati che hai raggiunto nel tuo sport?

Sono Nicolò Villa, ho 25 anni e attualmente sono un atleta della nazionale di vela e un impiegato all’azienda Chima di Lecco dove faccio ciò per cui ho studiato.

Dal 2012 pratico competizioni internazionali, ma negli ultimi 4/5 anni sono entrato nella squadra olimpica classe laser.

Nel U19 i risultati più importanti sono stati un 4° al mondiale è un secondo al campionato italiano.

Nel U21 mi sono posizionato al 5° posto sia al mondiale che all’europeo, mentre ho vinto il campionato italiano.

Quest’anno, inoltre, sono stato uno degli equipaggi che hanno cercato di qualificare la nazione alle Olimpiadi.

Nell’ultimo mese e mezzo ho partecipato al campionato italiano, Europeo e mondiale e li ho chiusi rispettivamente al 1°,18° e 26° posto.

Questa intervista ha l’obiettivo di entrare dentro alla mente di un campione per capire quali sono a tuo avviso i fattori che ne determinano il successo.

Ti chiedo quindi di dare una tua interpretazione a questi termini

#TALENTO

Ognuno di noi possiede delle capacità innate, queste possono essere numerose, ad esempio motorie e/o cognitive. I soggetti che hanno queste capacità sono persone che potrei definire a mio parere talentuose.

Di conseguenza il talento potrei identificarlo come l’abilità di saper fare qualcosa in modo geniale.

Penso però che le diverse abilità possano essere migliorate attraverso un costante e duraturo allenamento.

Nella mia esperienza sportiva non mi sono sentito subito una persona con talento, ma avendo lavorato molto e a lungo, sono arrivato ad avere questi ottimi risultati.

#PASSIONE

Secondo me la passione è la forza più grande che ti può spingere a dare il 110 % in ogni allenamento. Senza di essa non avrebbe senso praticare nessun tipo di sport.

La passione aiuta a superare i momenti difficili sia in ambito sportivo, che lavorativo, quindi ai ragazzi che iniziano ad approcciarsi ad un determinato sport consiglio come prima cosa di appassionarsi ad esso attraverso il divertimento. Infatti, il contesto in cui viene praticato lo sport aiuta sicuramente a coltivare la passione.

#SACRIFICIO

Non ho mai pensato al sacrificio in questi anni di attività.

Solo in questi giorni di pausa, poiché ho appena finito la stagione, mi sto rendendo conto di tutti quelli che ho fatto. Il mio sport è molto costoso e in questi anni la mia famiglia è stata contenta di fare sacrifici per me poiché ho sempre dimostrato di dare il massimo.

#FALLIMENTO

Il fallimento è la parte più importante nella vita di un atleta. È la base di tutto.

Io lo vedo come un punto di partenza per una nuova avventura.

Durante la mia carriera ne ho avuti molti, ma grazie alla tenacia e al non mollare, sono riuscito ad arrivare ad obbiettivi che non mi sarei mai sognato. Il fallimento è importante e secondo me il modo in cui ci si rialza da esso ti fa capire quanto puoi essere forte e che tipo di persona sei.

#SUCCESSO

Il successo per me è raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato.

A mio parere esiste una grande differenza tra vittoria e successo.

La vittoria è sempre un successo, ma molte volte il successo non coincide con la vittoria. Spesso si può raggiungere il successo anche senza salire sul podio. Infatti, per me i successi sono stati vincere il campionato italiano, ma anche riconfermarmi per due anni consecutivi nella top 20 all’europeo.

Quali sono secondo te le tre caratteristiche mentali fondamentali per un atleta?

Auto motivazione, concentrazione e calma.

L’auto motivazione è la benzina per la tua testa, è colei che ti riempie la mente e ti fa spingere il motore.

La concentrazione è uno stato mentale in cui deve immedesimarsi l’atleta per prevedere tutto ciò che può succedergli.

La calma è lo stato d’animo che un atleta deve avere prima della gara, senza di essa non puoi essere lucido durante la regata.

In un range da 1 a 10 quanto conta la testa nel tuo sport, perchè?

10. È uno sport dove devi essere lucidissimo dal primo all’ultimo giorno poiché le regate più importanti durano 6 giorni.

In ogni momento devi intuire cosa farà il vento e cosa faranno gli avversari. Pertanto, la testa gioca un ruolo estremamente fondamentale, per tutta la durata della competizione.

Hai mai allenato la tua “testa” per ottenere un miglioramento della performance o superare momenti difficili?

No, non ho mai allenato la “testa” per poter ottenere un miglioramento della performance o per superare momenti difficili o di tensione sportiva.

Per quanto riguarda il mio sport allenare la testa  è fondamentale, perché le regate durano parecchi giorni e sono sempre vissute come momenti molto stressanti.

Avere la testa allenata a superare ogni tipo di ostacolo  ti permette di arrivare agli ultimi giorni, dove si svolgono le finali, con una marcia in più.

Sicuramente un supporto psicologico può aiutarti a sviluppare delle tecniche che servano a rilassare la tua mente, concentrarti sulle gare e gestire situazioni di stress fisico ed emotivo.

Quale messaggio vorresti dare ai giovani che si vogliono avvicinare al tuo sport o che già lo praticano e hanno il sogno di arrivare in alto?

Dico solo di non mollare e di continuare nonostante tutto ciò che capiti sembri avverso, di utilizzare ciò che ti succede di brutto per spingere ancora di più in allenamento. Infatti, credo che l’allenamento sia fondamentale per aumentare la propria consapevolezza e dimestichezza.

È importante quindi dare il massimo durante gli allenamenti, così da poter replicare questo anche durante le regate.

 

Intervista a cura della Dott.ssa Nicole Marangoni, Psicologa, tirocinante in affiancamento alla Dott.ssa Veronica C. Bertarini.

NELLA MENTE DEI CAMPIONI: A TU PER TU CON ELEONORA ANNA GIORGI

NELLA MENTE DEI CAMPIONI: A TU PER TU CON ELEONORA ANNA GIORGI

Eleonora Anna Giorgi è una marciatrice italiana, primatista europea della 50 km di marcia.

Ha vinto l’edizione 2015 della IAAF World Race Walking Challenge ed il titolo ai Giochi del Mediterraneo di Mersin 2013, entrambe le volte nella marcia 20 km su strada.

Ha vinto 3 titoli italiani assoluti, altrettanti nazionali universitari e 7 italiani giovanili. Detiene il record mondiale sui 5000 m di marcia e 3 italiani assoluti, sempre di marcia, in altrettante distanze: 3000 m indoor, 5000 m outdoor e 20 km su strada.

Medaglia di bronzo agli ultimi mondiali di Atletica Leggera di Doha del 2019 (unica medaglia dell’atletica)

Laurea magistrale in economia presso l’Università Bocconi e Master in Sport Management e Marketing presso l’Università Bicocca di Milano.

Abbiamo quindi il piacere di entrare nella mente di una grandissima atleta!

In effetti, già dal primo scambio di battute capisco che Eleonora ha quella che io definisco una “mente vincente”: pensiero positivo, determinazione, costanza, programmazione, focus agli obiettivi e ovviamente un potentissimo motore dato dalla propria passione.

Siamo in pieno “lock down” a causa del Covid-19 ed il mio incontro con Eleonora non può che essere virtuale; il distanziamento però non influenza la nostra chiacchierata, subito rompiamo il ghiaccio, Eleonora è una ragazza estremamente solare (“chiacchierona” come si definisce lei) e non le è affatto difficile raccontare sé stessa e la sua vita da atleta.

La prima domanda è scontata e quasi d’obbligo in questo periodo….

“Come stai vivendo questo periodo di quarantena? E subito penso alle Olimpiadi a cui non potrà partecipare, in quanto rimandate al prossimo anno …

Il primo periodo ho avuto comunque la possibilità di allenarmi a porte chiuse in quanto atleta professionista e oltretutto di sport individuale; a seguito della posticipazione delle Olimpiadi è invece arrivato lo stop definitivo.

Da quel punto ho iniziato ad allenarmi a casa via Zoom “insieme” al mio allenatore ed altri compagni di squadra facendo circuiti di potenziamento o cardio e concentrandoci a migliorare alcuni aspetti sui quali io non ero fortissima in quanto li facevo raramente; solitamente percorro da un minimo di 20 km ad un massimo di 40 km al giorno e pertanto non ho la forza e l’energia di fare esercizi, salti e squat dopo l’allenamento usuale. Nel periodo invernale faccio più esercizi, ma non nel periodo delle gare.

Questa quarantena, se la guardiamo positivamente, è servita proprio a lavorare sulle mie aree di miglioramento.

Dal 1^ maggio ho poi ricominciato ad allenarmi su strada.

Quale era il tuo programma quest’anno?

Avrei dovuto gareggiare il 1^ marzo a Bergamo in occasione dei Campionati Italiani e questa è stata la prima gara che hanno iniziato a rimandare …. poi ci sarebbe stata la Coppa del Mondo a maggio e tra luglio e agosto l’Olimpiade, più altre gare intermedie.

Ero davvero in un buono stato di forma perché mi ero allenata molto bene ed ero pronta a gareggiare … questo ovviamente è stato un po’ un rammarico.

Come hai vissuto il rimando delle prossime olimpiadi?

Da un lato credo assolutamente che sia stata la scelta giusta quella di aver rimandato le Olimpiadi, la salute della collettività viene sicuramente prima dell’ambizione personale, anche se ovviamente dall’altra parte c’è un po’ di dispiacere perché ci si prepara all’Olimpiade per ben 4 anni!

Io però solitamente sono una persona ottimista ed ho cercato subito di vedere il bicchiere mezzo pieno: “ho un anno in più per allenarmi e migliorare determinati aspetti”.

Il mio dispiacere, in questo momento, ha comunque meno peso rispetto alle persone che stanno soffrendo a causa di questa pandemia, ed il fatto che io e la mia famiglia stiamo bene e siamo in salute è sicuramente diventato prioritario.

Ho imparato a vedere le cose da una prospettiva differente, nonostante il dispiacere.

A proposito di vedere le cose in modo diverso, lunedì 4 maggio al primo allenamento ero super emozionata, mi sembrava di essere al primo giorno di scuola!

E’ proprio vero che quando le cose che dai scontate vengono a mancare, quando torni ad averle ogni piccola cosa diventa importante.

Come è nata la tua passione per la marcia?

Ho iniziato con le campestri alle scuole medie ed ho praticato mezzo fondo fino a 17/18 anni, poi ho avuto un infortunio, una tendinite, che mi ha impedito di correre.

È stata mia mamma che mi ha spinto a provare la marcia, meno traumatica rispetto alla corsa mancando la fase di volo, e quindi più adatta ai miei tendini. Da quel momento non ho più smesso, ma possiamo dire che ho iniziato a marciare “per caso”; in realtà da piccola ho provato diversi sport, dal nuoto, al kung fu, alla pallavolo .. ma l’atletica è sempre stata il mio grande amore.

Tornando alla marcia ricordo che all’inizio andavo pianissimo e arrivavo in fondo, poi piano piano ho iniziato a vedere i primi risultati e piano piano sono arrivate la vittoria dei primi Campionati Italiani, le prime Nazionali Giovanili Juniores e le prime partecipazioni in alcune gare internazionali.

Nel 2012 ho partecipato alle mie prime Olimpiadi a Londra ed è lì che ho capito di aver fatto il salto di qualità.

Nella tua descrizione parli di risultati raggiunti piano piano … a questo proposito credi di essere un atleta dal talento innato o un atleta che il talento se lo è costruito?

Credo sicuramente di averlo costruito. La testa è stata ciò che mi ha aiutata di più per raggiungere i miei sogni ed i miei obiettivi perché ogni giorno lavoro tantissimo per migliorare.

All’inizio i miei obiettivi erano al minimo, mi bastava partecipare, poi con i primi risultati l’ambizione è cresciuta ed il sogno ha iniziato a diventare un obiettivo concreto da raggiungere.

Credo comunque in generale che conti molto di più il duro lavoro del talento; ho visto molti ragazzi con molto più talento di me non arrivare da nessuna parte perché gli mancava la voglia di fare fatica.

Eleonora ti ringrazio per questa testimonianza che in effetti è assolutamente allineata alle ricerche in questo ambito, che mostrano come siano componenti come la costanza e la focalizzazione a portare al successo, piuttosto che il talento. Tesi che però spesso è lontana dal senso comune.

Si è vero. Spesso quando si pensa agli atleti si crede che siano dei predestinati.

Dal mio punto di vista ci sono due fazioni, quelli che credono che vai e con molta semplicità prendi una medaglia, perché per te è semplice e quelli invece credono che fai tantissimi sacrifici.

A quest’ultimo proposito posso dire che non sento di fare dei sacrifici: faccio quello che mi piace e nel frattempo visito il mondo, per cui mi sento assolutamente fortunata.

I miei non sono sacrifici, sono scelte.

Quindi scelte e non sacrifici, ma momenti difficili in questi anni ci sono stati?

Si, ce ne sono stati tanti, infatti un aggettivo che uso spesso per descrivermi è quello della resilienza.

2012 prima Olimpiade, 2014 e 2015 sono stati anni fantastici in cui ho fatto record italiani che appartenevano a marciatrice molto forti che avevano vinto medaglie internazionali, quindi ho fatto record italiani importanti.

Dopo questi anni però sono incappata in alcune squalifiche, alle Olimpiadi di Rio del 2016 e ai Mondiali di Pechino … nella marcia ci sono due regole da rispettare che sono il: bloccaggio del ginocchio (quando la gamba tocca terra deve essere tesa) e la sospensione che vengono analizzate da giudici sul percorso.

Sono incappata quindi in alcune squalifiche in anni in cui ero davvero molto forte, tra le più forti al mondo, infatti ero quinta nel ranking mondiale (poi anche quest’anno sulla 50 sono tornata ad alti livelli); lottando per medaglie davvero importanti non è stato semplice accettare e metabolizzare queste squalifiche.

Nel 2016 ho subito un infortunio, in realtà era un male al ginocchio che mi portavo dietro già da un paio di anni, ma a dicembre 2016 mi sono dovuta operare e quindi poi mi sono trovata a ricominciare da capo.

Nonostante questo, però, ogni volta tornavo a casa con il desiderio di marciare e migliorare, con sempre più passione e determinazione. Credo che qualcun altro al mio posto avrebbe smesso; ho anche una Laurea di Economia nel cassetto e mi è capitato di pensare “potrei fare altro nella vita”, ma poi non l’ho mai fatto e ho continuato sempre a marciare perché è la mia passione.

 

Molti atleti lasciano gli studi quando raggiungono importanti livelli nello sport, tu invece sei un bellissimo esempio per tutti i giovani, in quanto sei riuscita a portare avanti una carriera importante a livello agonistico e una laurea in Economia e Commercio alla Bocconi. Quale è stato il tuo segreto? Come ci sei riuscita?

Innanzitutto le ho vissute come due cose complementari, ma distaccate: quando studiavo pensavo a studiare, quando marciavo pensavo a marciare. L’una mi aiutava a liberare la testa dall’altra e credo che questo mi abbia aiutata molto a portare avanti bene entrambe le cose.

Non è stato semplice, ma nemmeno impossibile!

Credo sia solo questione di organizzazione, quando uno vuole fare le cose il tempo lo trova: in quegli anni mi alzavo alla mattina presto per marciare, poi andavo a lezione (ho sempre frequentato tutte le lezioni, non ne ho mai saltata una!), poi in pausa pranzo tornavo ad allenarmi…

Il primo esame che ho fatto, matematica, ho preso 14! Non ti dico i pianti … però poi ho tenuto duro grazie ai miei genitori che mi hanno sempre supportata e poi ho preso 26 ed una volta acquisito il metodo di studio è andata bene!

Quanto sono stati importanti i tuoi genitori nella tua carriera agonista?

Sono stati fondamentali e mi hanno sempre sostenuta in tutto.

Mia mamma in particolare ha giocato un ruolo chiave, in quanto da giovane faceva atletica, la staffetta, gareggiando a livello scolastico, ma mio nonno le ha sempre detto che non avrebbe potuto fare due cose assieme, doveva concentrarsi sulla scuola e sul lavoro e non poteva contemporaneamente fare sport che era solo una perdita di tempo.

Lei, in contrapposizione a questo, mi ha insegnato che si possono fare bene entrambe le cose e questo è stato un grandissimo sostegno.

Negli ultimi anni sta crescendo il numero degli atleti laureati a dimostrazione del fatto che è possibile portare avanti entrambe le cose: allenare il fisico e parallelamente la propria mente!

Cambiamo argomento. Abbiamo parlato prima di fallimento, cosa e per te il successo?

Il risultato di tante ore di lavoro, costanza, determinazione e di un pizzico di fortuna!

C’è un momento della tua carriera fino ad oggi che identifichi come successo?

La penultima gara che ho fatto, ovvero i Mondiali di Doha a settembre 2019 in cui ho vinto la medaglia di bronzo.

Faccio un passo indietro per fare capire qualcosa di più della mia storia … dopo le squalifiche di cui ho parlato prima, ho deciso di intraprendere una nuova avventura passando dalla 20 km alle 50 km; ho quindi più che raddoppiato la mia distanza solita di gara (decisione presa a fine 2018), ho dovuto incrementare i carichi di lavoro e cambiare il mio allenamento. Dopo le squalifiche questa scelta per me ha rappresentato una nuova sfida che mi ha dato motivazione e carica, che era esattamente ciò che mi serviva in quel momento.

Ho fatto la mia prima 50 km l’anno scorso a maggio in Coppa Europa, dove ho riscritto il record europeo (4h04m50s); ero contentissima, avevo assimilato bene gli allenamenti ed ero molto motivata. Ho quindi deciso di fare la stessa distanza ai Mondiali di Doha, che si sarebbero disputati dopo pochi mesi.

Abbiamo gareggiato alle 23.30 perché c’erano 32 gradi di notte, anche se  percepiti erano più di 40 gradi, con un tasso di umidità dell’ 80%!

Fino all’ultimo non sapevano se avremmo gareggiato; siamo arrivati a Doha tre giorni prima della gara e ci hanno comunicato che forse non avremmo gareggiato a causa delle alte temperature, che avrebbero potuto compromettere la salute degli atleti.

Alla fine però hanno deciso di svolgere la gara in notturna.

Intorno al 15 km sono stata male di stomaco, faceva molto caldo ed ho bevuto dell’acqua troppo fredda … non aveva mai gareggiato in una condizione cosi estrema. Il pensiero quando stavo male  è stato “Non riuscirò a finire la gara, sto troppo male”, poi però mi sono detta “Vediamo come va, un km alla volta …” . Mi sono sentita meglio ed ho iniziato ad andare avanti di km in km senza guardare i tempi, perché in quelle condizioni i tempi erano assolutamente relativi, per farti capire il primo uomo che ha vinto ha fatto un tempo che ho io di personale e questo fa comprendere come tutti siamo andati relativamente piano.

Io ho fatto 25 minuti in più rispetto al mio tempo migliore.

Sono andata avanti ponendomi dei micro obiettivi per aiutare la mia testa di reagire, sono stata male ancora, vomitando 6/7 volte durante la gara e intorno a me vedevo atleti stare decisamente male, svenire e il mi unico obiettivo era quello di finire.

Questa è stata una delle gare più belle perché ho tenuto duro, mentalmente sentivo di volere avere una rivalsa sugli anni passati caratterizzati dalle squalifiche, ed ho lottato con tutta me stessa per prendermi questa medaglia!

Mi sono saputa adattare al contesto e sono sopravvissuta! Chi ha cercato di mantenere i propri tempi usuali non è arrivato alla fine, io ho deciso di abbandonare il cronometro ed è stata una scelta vincente.

Eleonora Anna Giorgi of Italy celebrates finishing third place in the Women’s Race Walk during the IAAF World Athletics Championships 2019 at the Al Corniche Water Front in Doha, Qatar, 29 September 2019.

 

Ci sono delle cose specifiche a cui pensi durante la gara?

Consigli dell’allenatore, cosa devo fare, attenzione ai cambi di ritmo …

Una cosa che ho notato è che durante le gare, la mia focalizzazione è solo sulle parole dell’allenatore, non ascolto i consigli di nessun altro, li sento chiari, ma è come se in quel momento mi chiudessi in una bolla …

Ovviamente non rimango super concentrata per 4 ore! Ci sono momenti in cui non penso e credo che in certi momenti sia assolutamente meglio così.

Tante delle cose che mi hai raccontato come tue caratteristiche mentali sono aspetti su cui il mental coach lavora con i propri atleti. Le tue sono doti naturali o hai allenato la tua testa con l’aiuto di un professionista?

Ho fatto un corso di Mindfulness, per imparare a stare concentrata nel qui ed ora e ho imparato la tecnica delle visualizzazioni, soprattutto questo mi è piaciuto tantissimo, le uso e le trovo molto utili.

Le visualizzazioni le uso da qualche anno: vedermi in gara ed immaginare i gesti che farò, piuttosto che visualizzare un obiettivo mi ha aiutata molto.

Quanto conta la testa?

La testa conta veramente tantissimo, direi il 99%, anche se chiaramente non è possibile stabilire una percentuale.

Ovvio che nell’affermare questo parto dal presupposto che l’allenamento è alla base: non si vince senza allenamento.