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Ciao Marco,
ci racconti un po’ chi sei e quali sono i risultati che hai raggiunto nel tuo sport?

Sono nato da una famiglia di “baskettari”, sia mio padre che mia mamma giocavano bene e anche mia sorella ha vinto diversi scudetti.

Io però ho iniziato giocando a calcio.

Intorno ai 12 anni mio padre mi convinse a provare a giocare a basket e feci un allenamento; mi ricordo che tornai a casa e non ne ero entusiasta, forse perché non avevo trovato la società giusta.

Poi un giorno mi chiamò questo allenatore che era un “papà’ per i ragazzini, mi convinse a riprovare.

Io andai e trovai tanti ragazzini simpatici con cui feci subito amicizia, lui che era molto bravo e mi innamorai del basket.

Da li non ho mai smesso.

Nella mia vita ho girato tante squadre; a 17 anni mi comprò la Monte Paschi di Siena e feci l’ultimo anni di giovanili con loro ed ero anche il terzo italiano in panchina con la serie A, quindi si può dire che iniziai col “botto”.

Seguivo la serie A ovunque, incontrai i giocatori di Serie A e di NBA che mi spiegarono e insegnarono tante cose, in più li seguii anche nell’Eurolega, quindi andai a vedere la Final Four di Tel Aviv nel 2001, quando ancora c’era Recalcati come allenatore, quindi veramente ho vissuto quell’anno il basket in tutto.

Da li è iniziata la mia carriera da sportivo, giocando in serie B, poi in serie A, poi ancora in B … e via cosi per gli ultimi 15 anni.

Una ricercatrice americana, Angela Duckworth, attraverso anni di ricerche è arrivata alla conclusione che il successo in qualsiasi ambito della vita, anche quello sportivo, è dato da una componente che lei definisce grinta, ovvero sapere dove si vuole arrivare e non mollare.

Si tratta quindi di una componente mentale.

Intanto, sono d’accordo con quanto afferma questa ricercatrice. La grinta intesa come non mollare è fondamentale.

Io avrei potuto mollare il basket ogni anno, perché ogni anno mi é sempre successo qualcosa che mi faceva pensare di voler smettere.

Ho avuto allenatori che mi hanno distrutto psicologicamente fino ad arrivare al punto di odiare il basket, ho avuto situazioni dove non potevo svolgere il mio lavoro perfettamente perché la Società non mi metteva a disposizione il materiale e per questo intendo che non avevo la casa e dormivo per terra senza luce, acqua e cibo, ho avuto procuratori che puntavano a fregarmi il più possibile.

Non sono stato molto fortunato nei miei anni di basket, molti ritengono che fisicamente e talentuosamente, sarei potuto arrivare molto più in alto, ma credo che conti anche la fortuna, intesa come l’occasione giusta al momento giusto.

Nonostante questo mi sono preso tante soddisfazioni e me le sono prese perché non ho mai mollato!

Quello che mi mandava avanti era dire a me stesso “io non mi faccio fermare da tutto questo, non mi faccio fermare da persone alle quali di me non frega niente, io smetterò di giocare a basket, quando sarò io a deciderlo”.

Quando la ricercatrice dice che ci vuole questo per avere successo, ha ragione, perché io ritengo di aver avuto successo, magari avrei potuto fare anche di più, ma poi come ho già detto ci vuole anche fortuna.

La nostra chiacchierata di oggi ha l’obiettivo di entrare dentro alla mente di un campione per capire quali sono a tuo avviso i fattori che ne determinano il successo.

Iniziamo con qualche parola chiave interpretate da Marco Tagliabue.

#TALENTO

Il talento non e solo buttare la palla nel canestro, perché una persona di talento può anche sapere tirare benissimo, ma non se non è capace di muoversi e di giocare con gli altri, il talento non lo vede nessuno.

Avere talento significa anche avere una predisposizione ad usare talento, ovvero essere in grado di stare in un contesto, perché ci sono tanti esempi di giocatori, magari fortissimi, che non sono andati da nessuna parte e di controparte giocatori meno talentuosi che hanno fatto carriera.

#PASSIONE

Se ti piace una cosa è più facile che tu sia capace di farla.

Passione e talento sono per me connesse: io sono bravo a fare una cosa perché ho passione, penso al basket anche mentre vado a casa e mi sto già immaginando cosa potrò fare in partita.

#SACRIFICIO

Sacrificio tanto. A 17 anni sono andato a 500 km da casa mia e non sapevo nemmeno scaldarmi una tazza di latte la mattina e invece dovevo farmi da mangiare, le pulizie e provvedere a me stesso, anche se ovviamente non ero totalmente abbandonato, ma di certo non era come stare in famiglia.

Poi sai, 15 anni senza vedere il Natale, che quando sei piccolo e la cosa più bella del mondo e per me lo e ancora adesso non e facile; tante volte ho passato il giorno di Natale da solo perché avevo gli allenamenti o le partite…

Poi, sacrificio fisico, perché quando ero a Siena facevo 3 allenamenti al giorno andando a scuola un giorno si e no.

Quando tornavo la sera dopo il terzo allenamento dovevo studiare e non era per niente facile.

Sacrificio su qualunque cosa: la ragazza difficile averla, perché viaggi tanto e ogni anno cambi posto … dalla famiglia sei lontano, dagli amici sei lontano …

I compagni di squadra certo puoi avere buoni rapporti, ma c’è comunque sempre della rivalità e poi magari l’anno dopo non li vedi nemmeno più.

#FALLIMENTO

Ci sono delle cose in cui non sono riuscito, ho perso dei campionati, ma non ho mai mollato, quindi non ho avuto fallimenti.

#SUCCESSO

Vincere un campionato è avere successo, ma per quanto mi riguarda avere successo e essere contento di te stesso, di quello che hai fatto, di cosa hai raggiunto.

Io su tante cose sono contento e quindi ho avuto successo.

Uno da fuori potrebbe dire “non sei arrivato in NBA”, “non hai uno stipendio milionario e non guidi una Ferrari”, ma ho quello che mi serve e sono contento.

Sono in pace con me stesso e adesso posso iniziare altri percorsi che mi piacciono e per me quello e il successo: riuscire a fare quello che volevi fare.

Marco Tagliabue Nella Mente dei Campioni

In un range da 1 a 10 quanto conta la “testa” nel tuo sport?

La testa conta 10 perché dove non arriva il fisico arriva la testa.

Quali sono secondo te le caratteristiche mentali fondamentali per un atleta?

Ci vuole coraggio, passione, il non mollare e la voglia di creare qualcosa con qualcuno, che se fai uno sport di squadra è fondamentale.

Hai mai allenato la tua “testa” per ottenere un miglioramento della performance o superare momenti difficili?

Se c’è un problema che ho avuto, da sempre è stato proprio quello di riuscire a controllare la mia testa: da quando ho iniziato a giocare a basket ho sempre avuto problemi di ansia, prima di una partita aver paura di riuscire, di fare le cose giuste, magari sbagliavo un tiro perché avevi paura di prenderlo.

Purtroppo non mi sono mai rivolto a nessuno perché caratterialmente facevo fatica a parlarne con qualcuno. Ho cercato quindi di allenare la mia testa da solo, trasformando quelle paure in sfide.

Se si, quali benefici hai ottenuto?

Ho sempre paura prima delle partite, però quando c’è da fare qualcosa di importante anche se ho paura voglio farlo io, le sfide oggi mi piacciono.

Quale messaggio vorresti dare ai giovani che si vogliono avvicinare al tuo sport o che già lo praticano e hanno il sogno di arrivare in alto?

Il mio consiglio è di fare questo sport solo se davvero è ciò che piace fare, se è ciò che diverte e di non farlo per il successo o per inseguire il sogno di una carriera strepitosa perché 1 su 100.000 ce la fa.

Il fattore “piacere” è fondamentale ed è il motivo per cui a 32 anni, malgrado lavoro e studio, vado ancora a giocare e smetterò solo quando il mio fisico non ce la farà più.

Se potete accostante la passione per il basket a qualche altra passione.

Intervista a cura della Dott.ssa Veronica Chantal Bertarini


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